domenica 10 marzo 2019

Repubblica Italiana - 20.000 lire “Tiziano Vecellio”



20.000 lire “Tiziano Vecellio” 

Fu emessa solamente una volta, insieme alla banconota da 2.000; a differenza di quest'ultima presenta una sola versione dedicata al pittore Tiziano. La banconota è stata uno dei tagli di cartamoneta circolante in Italia nella seconda metà degli anni Settanta. Questa banconota fu stampata nel 1975, ma dato lo scarso consenso mostrato dai cittadini italiani verso questo taglio, si decise di non darne alle stampe altre emissioni. Fu disegnata da Trento Cionini. 

Al centro del biglietto è presente un suggestivo busto di Tiziano (vedi immagine), ripreso dall'autoritratto conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, con alle spalle un paesaggio dipinto dallo stesso Tiziano in uno degli affreschi della Scuola del Santo (quello cosiddetto del "Miracolo del piede risanato"), nella basilica di S. Antonio a Padova. 

20.000 lire "Tiziano" recto (immagine tratta dal Web)

Sul retro una riproduzione dell'Amor Sacro e Amor Profano della Galleria Borghese. La filigrana, a punto fisso, è costituita da una testina raffigurante Flora, ripresa dall'omonimo dipinto del Tiziano, conservato presso la Galleria degli Uffizi. 

20.000 lire "Tiziano" verso

La tela di Tiziano è quella chiamata "Amor sacro e amor profano", conservata nella Galleria Borghese di Roma.

Nome del biglietto:
TIZIANO VECELLIO
Termine ufficiale del biglietto:
20.000 lire tipo 1974
Corso legale sino al 01/07/1985
Bozzetto:
Lazzaro Lazzarini
Incisore:
Trento Cionini (recto), Mario Armenti (verso)
Dimensioni in mm: 
161 X 78
Tecniche di stampa:
Stampata in calcografia e in letter-set
Carta: 
Filigranata, lievemente colorata, di impasto speciale ad alte caratteristiche, con fibrille e filo di sicurezza
Filigrana:
Testa femminile e "Flora"
Officina: 
Officine della Banca d'Italia di Roma
Tiratura: 
99.500.000
Contrassegno di Stato:
Stemmi delle Repubbliche Marinare
Firme:
Carli, Barbarito
Decreto delle caratteristiche: 
20/12/1974 (G.U. 10/06/1976, n. 152)
Decreti di emissione:
21/02/1974
Serie:
BA 347879 B

G.U. 10/06/1976, n. 152


  
   Lo stemma sulla fronte del sarcofago ha permesso di legare l'opera alle nozze avvenute nel maggio del 1514, tra il veneziano Niccolò Aurelio, segretario del Consiglio dei Dieci, che nel 1523 sarebbe diventato gran cancelliere di Venezia, e Laura Bagarotto, figlia del giureconsulto patavino Bertuccio Bagarotto, giustiziato il primo dicembre 1509 in piazza San Marco con l'accusa di aver tradito la Serenissima al tempo della conquista di Padova da parte dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo nel giugno del 1509. Pervenne nelle collezioni Borghese probabilmente attraverso l'acquisto di sessantun dipinti del cardinal Paolo Emilio Sfondrato da parte di Scipione Borghese, nel 1608, con l'intermediazione del tesoriere, il cardinale Pallavicini. Il soggetto del dipinto, nella sua ricchezza di elementi criptici, è tra i più studiati dell'intera storia dell'arte, e presuppone molteplici livelli di lettura. 
Ad esso hanno dedicato interi saggi De Logu e Argan. In un paesaggio bucolico due donne, una vestita e una seminuda (rappresentanti rispettivamente Amor Profano e Amor Sacro), stanno nei pressi di una fontana, nel quale un amorino alato (Eros) rimesta le acque ivi contenute. Le due donne presentano una fisionomia identica e questo significa, secondo la psicologia di Tiziano, che ogni persona possiede entrambe le caratteristiche di natura opposta, che in questo caso sono, appunto, l'amore sacro/divino e l'amore profano e passionale. Sullo sfondo si vedono una città all'alba (a sinistra) contrapposta da un villaggio al tramonto (a destra), dei cavalieri e dei pastori. Alcuni hanno ipotizzato che il Tiziano si sia ispirato al paesaggio della Val Lapisina, presso Serravalle, per alcuni anni residenza del pittore: così il castello di sinistra corrisponderebbe alla torre di San Floriano e lo specchio d'acqua al lago Morto. Altri ipotizzano essere un paesaggio delle colline Asolane e il castello di sinistra è la Rocca Asolana.


Il paesaggio appare suddiviso in due sezioni, equamente ripartite da un albero posto al centro della scena, dietro al putto, così che ognuna delle due porzioni accompagni una delle due donne. Il titolo con cui l'opera è nota non è che uno di quelli arbitrariamente attribuiti dai curatori degli inventari e cataloghi della Borghese, in particolare nel 1792 e nel 1833. Esso allude a una lettura in chiave moralistica. Altri titoli susseguitisi nel tempo sono stati “Beltà disornata e beltà ornata” (1613), “Tre Amori” (1650), “Amor profano e Amor divino” (1693), “Donna divina e donna profana” (1700). Anche in epoca moderna le ipotesi per decifrare il soggetto sono state molteplici. Wickoff (1895) pensò a Venere che persuade Medea come negli Argonauti di Valerio Flacco; Gerstfeld credette di riconoscere nella donna a sinistra Violante, la figlia di Palma il Vecchio sulla scorta di un suo presunto ritratto a Vienna; Amore celeste e amore umano per Wind. Il titolo tradizionale, per quanto errato, continua però ad esercitare fascino e ad essere usato, poiché mette bene in evidenza l'armonico dualismo che è alla base dell'incanto del dipinto (Notizie tratte da Wikipedia).

"Amor sacro Amor profano"


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